Synthphonia Suprema «Syntphony 001» (2004)

Synthphonia Suprema «Syntphony 001» | MetalWave.it Recensioni Autore:
AtoragoN »

 

Recensione Pubblicata il:
--

 

Visualizzazioni:
1392

 

Band:
Synthphonia Suprema
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Titolo:
Syntphony 001

 

Nazione:
Italia

 

Formazione:
Matkracker - voce
Dany All - tastiere ed elettronica
Fryderyk T - chitarra

 

Genere:

 

Durata:
50' 36"

 

Formato:

 

Data di Uscita:
2004

 

Etichetta:

 

Distribuzione:
---

 

Agenzia di Promozione:
---

 

Recensione

Questa è una band su cui bisognerebbe discutere ben dello spazio che è destinato a questa semplice recensione, sul parametro di valutazione da usare per giudicare questo disco formalmente impeccabile, e sul punto di vista con cui guardare il concetto stesso di “impeccabilità”.
Questa band infatti afferma nella bio di aver inventato un genere, il “Sinth Metal”, col quale intendono fondere con una buona dose di coraggio il power di stampo tipicamente italiano con la musica techno europea, utilizzando pesantemente synth, per l'appunto, e rendendo il suono del disco glaciale grazie all'uso di una drum machine e di un basso sinth, riducendo il lavoro del gruppo a tre persone: il cantante, Matkracker, forse il punto debole del gruppo per via di una voce poco potente (a tratti mi ha ricordato il Joacim Cans meno ispirato) ed eccessivamente effettata con l'autotune, mossa che nonostante sia voluta provoca un “effetto Cher” a volte davvero troppo da sigla dei cartoni; il tastierista, Dany All, che immagino sia il mastermind del gruppo, il quale si prende cura delle tastiere e della parte elettronica, e Fryderyk T alla chitarra elettrica, che non esegue praticamente nessun assolo (altra scelta coraggiosa), ma che allo stesso tempo è co-autore di interessantissime parti strumentali con il tastierista, dove la componente orchestrale-tastieristica e quella chitarristica si compenetrano completamente e in più di un'occasione tessono trame creative e sognanti, con ricercati passaggi tra il maggiore ed il minore ed una certosina ricerca di suoni ed effetti. Spesso scelte come questa sono ben migliori di qualunque assolo infilato a forza nel pezzo. Notevole.
La produzione, affidata al noto musicista e produttore Frank Andiver, è di ottimo livello, (in effetti non poteva essere altrimenti) e alle chitarre ritmiche (anche se non ho capito se l'apparizione riguarda l'intero album, o un singolo pezzo) fa capolino come ospite Pier Gonnella dei Labyrinth, e a questa cura a livello sonoro dobbiamo sommare un'artwork ottimo, in linea con il concept di creare un ponte tra il fantasy ed il futuribile, con un disegno di Ken Kelly (quello della copertina di Kings of Metal dei Manowar per intenderci) colorato di tinte cromate e computerizzate, esattamente
sul crinale tra il pugno nell'occhio ed il geniale.Ora sono combattuto sul metro di giudizio da usare in quanto è troppo facile comporre un disco tecnicamente eccezionale, fondamentalmente midi, effettando tutto, infarcendolo di produttori e ospiti, per spingerlo a forza nella gola dell'ascoltatore; come giudicare una sezione basso batteria fondamentalmente inesistente ma perfetta? Dovrei considerarla migliore di un batterista vero, con le sue imperfezioni, la sua dinamica, il suo groove? Questo è qualcosa che si ama o si odia, prendere o lasciare, e per questa ragione non mi dilungherò su quest'aspetto, lasciando all'ascoltatore la decisione, dato che la scelta va presa con lo stesso approccio per cui ad esempio ci si può avvicinare, che so, ai Depeche Mode (che peraltro apprezzo molto). Chiusa questa parentesi, la qualità dei pezzi è piuttosto buona, oltre ai buoni strumentali di cui ho già parlato, ci sono numerosi passaggi interessanti che sicuramente soddisferanno la golosità di tutti gli amanti di quello che all'estero chiamano “Italo Metal”, il metal con influenze progressive cioè, tipico di Labyrinth, Vision Divine e simili. Ho apprezzato particolarmente la ricercatezza dei suoni di tastiera, bei pianoforti, bei synth che a volte ricordano per l'appunto i Depeche Mode, con un uso intelligente qua e là di synth anche “vintage”, che ricordano gli anni 80 e le atmosfere alla Judas Priest di “Turbo”, tanto per capirci. Tra i pezzi segnaliamo “Uncosmic Justice” con un bell arpeggio che ricorda i Dimmu Borgir di “Mourning Palace”, ed un chorus interessante, ed il pesante mid tempo “My War”, che nonostante ricordi scenari futuristici, è una song molto epica. Ultima nota prima di concludere, i testi; mi dispiace, ma in diversi pezzi mi sono sembrati piuttosto puerili e scontati. Per il momento la band è promossa, tra notevoli pregi ed alcuni difetti, grazie anche alla loro voglia di sperimentare e al coraggio con cui propongono le loro idee, ma sono molto curioso di sentirli live prima di farmi un'idea esatta delle loro reale qualità.

Track by Track
  1. Fileader 70
  2. Nothing Can Stop Me 75
  3. Synth Metal 65
  4. Uncosmic Justice 78
  5. My War 65
  6. Black Cat 70
  7. Shield Saviour 60
  8. Fatherland 70
  9. Glacier Inside 65
  10. ___ 75
Giudizio Confezione
  • Qualità Audio: 85
  • Qualità Artwork: 75
  • Originalità: 80
  • Tecnica: 70
Giudizio Finale
72

 

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